Tribunale di Chieti, sent. n. 883/2012

Le continue telefonate sul posto di lavoro e ai congiunti per indurre il debitore a restituire il prestito sono condotte che possono configurare un danno non patrimoniale risarcibile. Il cittadino moroso ha infatti il diritto di mantenere segreta la propria posizione debitoria nei confronti di terzi, parenti e colleghi di lavoro.

I soggetti tenuti al risarcimento sono sia il creditore che la società di recupero del credito. 

Sul creditore, infatti, grava l’obbligo di vigilare sull’operato di chi ha incaricato per recuperare i propri crediti; sulla società di recupero crediti grava invece l’obbligo verificare di poter utilizzare i numeri di telefono e le altre informazioni utili del debitore. Pertanto, se il cliente ha fornito alla banca solo alcuni numeri telefonici ove essere rintracciato, la società di recupero non può cercare di altri.  Le società di recupero crediti non possono inoltre contattare il debitore in orari irragionevoli, con frequenza superiore al dovuto.

La sfera privata del debitore non può essere intaccata sulla base della semplice autorizzazione al trattamento dei propri dati personali data al momento della richiesta e sottoscrizione del finanziamento: una società di recupero crediti, infatti, deve sì svolgere il proprio lavoro ma questo diritto/dovere deve essere esercitato previa verifica sulla possibilità o meno di poter utilizzare i dati sensibili forniti dal cliente alla banca creditrice.

Conf. Cass., 28 maggio 2012, n. 8451

Chiunque cagiona danno ad altri per effetto del trattamento di dati personali è tenuto al risarcimento ai sensi dell’articolo 2050 cod. civ., in virtù del rinvio operato dall’art. 15 del D.Lgs. n. 196/2003 (c.d. Codice della privacy). Nel caso di specie, il ricorrente si era inizialmente rivolto al Tribunale con un ricorso ex art. 152 del Codice della privacy, chiedendo che venisse accertato in capo ad una banca l’illecito trattamento dei propri dati personali, con il conseguente risarcimento del danno patrimoniale e non. A fondamento della propria pretesa lamentava l’erroneo invio di una missiva, da parte della banca stessa, grazie alla quale la propria madre era venuta a conoscenza del suo stato di grave insolvenza. In seguito a questo fatto la genitrice sarebbe stata indotta a riconsiderare la decisione che aveva tempo prima assunto di donargli un immobile. Nel respingere la domanda risarcitoria (in quanto non sarebbe stato provato il nesso eziologico fra la condotta della banca e la decisione della madre), il Giudice esprime l’importante principio di cui sopra.
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