Tribunale Milano, 11 febbraio 2014

Ai sensi e per gli effetti dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 156 cod. civ. (nonché nell’art. 8, legge n. 898/1970, che solo in parte coincidono con le prime), il Giudice, nel pronunciare la separazione (ma anche il divorzio) può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale; il presupposto è rappresentato dal pericolo che l’onerato possa sottrarsi ai suoi obblighi di mantenimento. La pronuncia di condanna all’assegno costituisce poi titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale, in aderenza a quanto già dispone, con previsione più generale, l’art. 2818 cod. civ. Altra misura è rappresentata dal sequestro preventivo dei beni dell’obbligato, cautela atipica, differente dal sequestro conservativo e giudiziario, senza che si possa convertire in pignoramento.

In questo quadro, peculiare strumento di garanzia è rappresentato dal pagamento diretto dell’assegno (per il coniuge e/o i figli) direttamente da colui che è tenuto, nei confronti dell’onerato, alla corresponsione periodica di somme di denaro (datore di lavoro, ente pensionistico, conduttore, ecc.). Sul punto la disciplina della separazione e quella del divorzio divergono. Per quanto qui rileva, il sesto comma dell’art. 156 cod. civ. relativo al regime di separazione, subordina l’assunzione, da parte del giudice, di detto provvedimento, all’inadempienza dell’onerato, ossia allo stesso presupposto, che legittima l’autorizzazione al peculiare sequestro di cui si è detto. Il pagamento diretto richiede una preventiva pronuncia del giudice, resa su istanza di parte.

Sul concetto di “inadempienza” si è recentemente espresso il Tribunale di Milano, secondo cui, in assenza di allegazioni circa il pregiudizio che minimi ritardi nel pagamento dell’assegno di mantenimento per il coniuge ed i figli arrecherebbe loro, non può ordinarsi al datore di lavoro dell’onerato di provvedere al pagamento diretto: ciò in forza di un principio di reciproca tolleranza, comune alla materia delle obbligazioni alimentari.

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