E’ davvero finita l’epoca degli assegni di mantenimento per le mogli?

Cass 11504 2017 Divorzio Tenore VitaCassazione Civ., Prima Sez., sent. n. 11504 / 2017

La Cassazione Civile, prima sezione civile, con la recentissima sentenza n. 11504 depositata il 10 maggio del 2017, ha mutato il proprio orientamento in materia di assegno divorzile.

Nel caso di specie la Corte d’Appello di Milano nel marzo 2014 ha rigettato il gravame della convenuta avente ad oggetto il mancato riconoscimento dell’assegno divorzile richiesto in suo favore.

Avverso questa sentenza è stato proposto ricorso per Cassazione.

La Suprema Corte, con una pronuncia epocale, ha mutato il criterio per il riconoscimento dell’assegno in ragione della condivisione del cambiamento del significato del matrimonio nel costume sociale, inteso come atto di autoresponsabilià e libertà.

Rivoluzionaria pronuncia anche per ciò che concerne i termini utilizzati, che tendono a “contrattualizzare l’istituto”: si parla infatti di “estinzione” del rapporto matrimoniale, sia sul piano dello status personale, per cui il coniuge ritorna “persona singola”, sia sul piano dei rapporti patrimoniali

In altre parole quando il matrimonio civile si scioglie o quando cessano gli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, il rapporto matrimoniale si estingue definitivamente, comportando alcune conseguenze:

  • i coniugi si devono considerare “persone singole”;
  • i loro rapporti economico-patrimoniali vengono meno;
  • il reciproco dovere di assistenza morale e materiale viene meno.

L’articolo 5 comma 6 della legge n. 898 del 1970, come sostituito dall’articolo 10 della legge n. 74 del 1987, sancisce che, una volta perfezionata tale fattispecie estintiva, il riconoscimento dell’assegno di divorzio risulta condizionato dall’accertamento giudiziale della mancanza dei mezzi adeguati dell’ex coniuge richiedente l’assegno o, comunque, dell’impossibilità dello stesso di procurarseli per ragioni oggettive.

L’attenta lettura di questa norma mostra con estrema evidenza che detto giudizio risulta essere composto da due fasi:

  • Fase dell’ an debeatur che consiste nell’eventuale riconoscimento del diritto.
  • Fase del quantum debeatur che è condizionata all’esito positivo della prima e riguarda la determinazione quantitativa dell’assegno.

La ratio della disposizione trova il suo fondamento nella Costituzione ed in particolare nel dovere inderogabile di solidarietà economica, il cui adempimento è richiesto da entrambi gli ex coniugi, intesi come persone singole, a tutela della persona economicamente più debole (cosiddetta responsabilità post-coniugale).

Il diritto all’assegno di divorzio per queste ragioni ha una natura esclusivamente assistenziale in favore dell’ex coniuge economicamente più debole (art. 2 Cost.) e in detti casi la sua prestazione è doverosa (art. 23 Cost.).

Ma cosa ha inteso affermare il nostro ordinamento con la locuzione impossibilità di procurarsi mezzi adeguati per ragione oggettive?

Negli ultimi decenni, la Suprema Corte ha cercato proprio di individuare il parametro di riferimento al quale rapportare la suddetta adeguatezza-inadeguatezza dei mezzi del richiedente assegno e la possibilità-impossibilità di procurarseli.

Sin dalle sentenze delle Sezioni Unite nn. 11490 e 11492 del 1990, detto parametro coincideva col tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio, o che poteva legittimamente e ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate nel corso del matrimonio stesso, fissate al momento del divorzio.

Ventisette anni dopo, tale orientamento (che tanto ha fatto lavorare ogni studio legale che si occupa di diritto di famiglia) è stato ritenuto non più attuale in quanto risulta superata la concezione patrimonialistica del matrimonio inteso come sistemazione definitiva, per condividere un significato diverso di questo istituto da intendersi come atto di libertà e di autoresponsabilità, nonché luogo degli affetti e di effettiva comunione di vita, in quanto dissolubile.

La prima sezione civile coerentemente a tale mutamento di concezione ha affermato che «il rapporto matrimoniale si estingue non solo sul piano personale, ma anche su quello economico-patrimoniale, sicché ogni riferimento a tale rapporto finisce illegittimamente con il ripristinarlo, sia pure limitatamente alla dimensione economica del tenore di vita matrimoniale, in una indebita prospettiva di ultrattività del vincolo matrimoniale».

Per queste ragioni, il nuovo parametro è stato individuato nel raggiungimento dell’indipendenza economica del richiedente assegno; se quest’ultimo è “economicamente indipendente” o è effettivamente “in grado di esserlo”, non deve essergli riconosciuto il relativo diritto. L’attribuzione dell’assegno in questo caso sarebbe un illegittimo arricchimento perché fondato soltanto sull’esistenza di un rapporto matrimoniale ormai estinto.

Il nuovo parametro comporta una serie di conseguenze sull’accertamento del riconoscimento dell’assegno divorzile nelle due fasi prima citate, che certamente ogni avvocato cercherà di interpretare con soluzioni più confacenti al proprio assistito:

  • nella fase dell’an debeatur l’accertamento riguarda esclusivamente l’ex coniuge richiedente l’assegno, inteso come singolo individuo, non facendo alcun riferimento al preesistente rapporto matrimoniale;
  • nella fase del quantum debeatur, e solo in questa, è legittimo procedere ad un giudizio comparativo tra le rispettive posizioni personali ed economico-patrimoniali degli ex coniugi, secondo i criteri dell’articolo 5 comma 6, della legge n. 898 del 1970 per tale fase del giudizio.

I principali indici per accertare, nella prima fase, la sussistenza o meno dell’indipendenza economica dell’ex coniuge richiedente sono stati così elencati dalla Suprema Corte:

  1. possesso di redditi di qualsiasi specie;
  2. possesso di cespiti patrimoniali mobiliari ed immobiliari;
  3. capacità e possibilità effettive di lavoro personale, in relazione alla salute, all’età, al sesso ed al mercato del lavoro dipendente o autonomo;
  4. stabile disponibilità di una casa di abitazione.

In una recentissima pronuncia il Tribunale di Milano (Trib Milano, ord. 22 05 2017) ha provato ad individuare i nuovi parametri di riferimento, richiamando il reddito limite previsto per l’accesso al gratuito patrocinio civile (circa 1.000,00 euro al mese) ovvero il reddito medio percepito nella zona in cui il richiedente vive ed abita.

Importante sottolineare che il principio di autoresponsabilià trova applicazione anche nel regime probatorio: spetta infatti all’ex coniuge richiedente l’assegno divorzile provare la mancanza dei mezzi adeguati o dei motivi oggettivi per poterseli procurare, attraverso rituali e pertinenti allegazioni e deduzioni.

La Corte nel caso sottoposto a Suo esame, rigetta il ricorso, ritenendo che l’attrice non avesse assolto l’onere di provare la sua non indipendenza economica, all’esito di un giudizio di fatto dal quale emerge poi il suo ruolo di imprenditrice e la sua elevata qualificazione culturale, possedendo titoli di alta specializzazione e importanti esperienze professionali anche all’estero e che, in sede di separazione, i coniugi avevano pattuito che nessun assegno di mantenimento fosse dovuto.

In conclusione, si può facilmente sostenere il contenuto rivoluzionario di questo arresto giurisprudenziale che, dopo più di un quarto di secolo, abbandona l’ormai consolidato parametro del tenore di vita, per abbracciare il principio di autoresponsabilità economica di ciascuno degli ex coniugi: solo il tempo ci dirà se i principi ivi affermati saranno effettivamente in grado di cogliere i mutamenti della nostra società o se non aumenteranno ulteriormente le diseguaglianze di genere ancora tanto presenti nel nostro Paese. Il Tribunale di Brescia, come affermato dalla Presidente della Sezione Famiglia, da tempo pone già particolare attenzione alla capacità lavorativa del coniuge più debole.

Leggi il testo della sentenza della Suprema Corte

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