Disabilità e accesso al lavoro

Handicap LavoroCassazione, Sez. Lav., sent. n. 10576 / 2017

La Corte di Cassazione si è pronunciata recentemente, con sentenza n. 10576 / 2017, su un caso di licenziamento che ha riguardato un #lavoratore #disabile obbligatoriamente assunto.

Nel caso di specie, sia in primo sia in secondo grado, era stato respinto il ricorso proposto dal lavoratore, volto a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento a lui intimato dalla Fondazione da cui era stato assunto.

In particolare, il ricorrente chiedeva accertarsi l’inammissibilità dello stesso in quanto il giudizio di inidoneità a svolgere mansioni di addetto ai servizi generali era susseguente soltanto ad accertamento da parte del medico competente designato dall’azienda ai sensi del D.lgs n. 81/2008.

In particolare quattro erano i motivi alla base del ricorso:

  1. con il primo veniva denunciata la violazione dell’articolo 10 comma 3 della legge n. 68 del 1999 “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, per aver la Corte d’appello ritenuto irrilevante la formulazione del giudizio di inidoneità alle mansioni di addetto ai servizi generali da parte del medico competente per l’azienda anziché della Commissione medica;
  2. con il secondo motivo veniva denunciata la stessa disposizione di legge, considerato che la risoluzione del rapporto di lavoro del disabile può essere disposta «previo accertamento da parte della Commissione della definitiva impossibilità di reinserimento del disabile», accertamento a cui non si può sostituire il datore di lavoro o il medico competente;
  3. con il terzo motivo veniva lamentata la violazione del comma 2 dello stesso articolo, nonché l’omesso esame del ricorrente riguardante l’obbligo di ricollocazione del lavoratore all’interno della struttura aziendale;
  4. con il quarto, ed ultimo, motivo veniva denunciata la violazione dell’articolo 2697 del cod. civ.[1] e l’omesso esame circa le mansioni di autista svolte dal ricorrente e la contraddittorietà e illogicità della motivazione.

La Suprema Corte, partendo dall’analisi della legge della quale si era denunciata la violazione, evidenziava il cambiamento di impostazione rispetto alla precedente legge n. 482 del 1968 “Disciplina generale delle assunzioni obbligatorie presso le pubbliche amministrazioni e le aziende private”.

Infatti il testo legislativo precedente, era fondato su un sistema prevalentemente ispirato all’idea della configurazione dell’inserimento degli invalidi nelle imprese come un peso da sopportare in chiave solidaristica, mentre, il successivo, è basato su un sistema che coniuga la valorizzazione delle capacità professionali del disabile con la funzionalità economica delle imprese stesse; ciò in base ad una logica di eguaglianza sostanziale e di pari opportunità del soggetto portatore di disabilità, anche successivamente il momento di avviamento al lavoro, per assicurare protezione ai valori di rilevo costituzionale quali quelli garantiti dall’articolo 38 della Costituzione[2].

La Corte evidenzia altresì come questa disciplina vada letta considerando il ruolo sempre più preminente che la tutela dei disabili ha assunto nell’Unione Europea e nell’ordinamento internazionale.

Infatti, la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea all’articolo 26, rubricato “Inserimento dei disabili”, sancisce che «L’Unione riconosce e rispetta il diritto dei disabili di beneficiare di misure intese a garantirne l’autonomia, l’inserimento sociale e professionale e la partecipazione alla vita della comunità» e la Convenzione delle Nazioni Unite all’articolo 27 sancisce che gli Stati Parti riconoscono il diritto al lavoro delle persone con disabilità, sulla base dell’uguaglianza con gli altri.

In aggiunta, il Decreto Legislativo 9 luglio 2003 n. 216, che ha dato attuazione alla Direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e condizioni di lavoro, individua tra i fattori di rischio anche l’handicap fisico; ciò trova tutela internazionale e la sua disciplina all’interno dell’articolo 3 lett. b, il quale fa riferimento anche all’area «dell’occupazione e delle condizioni di lavoro, compresi gli avanzamenti di carriera, la retribuzione e le condizioni del licenziamento».

L’articolo 10 della legge n. 68 del ’99, del quale si denuncia la violazione, è rubricato “Rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti” e disciplina le ipotesi di licenziamento di coloro che sono stati assunti in adempimento degli obblighi gravanti sui datori di lavoro pubblici e privati in forza di detta legge.

Il comma terzo di questo articolo si riferisce sia all’ipotesi di un aggravamento delle condizioni di salute del disabile sia a quella di una significativa variazione dell’organizzazione del lavoro, che siano comunque incidenti sull’idoneità lavorativa del soggetto assunto nella quota di riserva.

Questa norma ha sostituito la precedente norma speciale (L. n. 482 del 1968, articolo 10, in relazione all’articolo 20, della stessa legge), con riferimento alla quale questa Corte aveva già affermato il principio secondo cui «il licenziamento dell’invalido assunto in base alla normativa sul collocamento obbligatorio segue la generale disciplina normativa e contrattuale solo quando è motivato dalle comuni ipotesi di giusta causa e giustificato motivo, mentre quando è determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo in presenza della perdita totale della capacità lavorativa o la situazione di pericolo per la salute e incolumità degli altri lavoratori o per la sicurezza degli impianti, accertati dall’apposita commissione medica».

Principio questo applicato anche dalla legge del ’99 n. 68, secondo la quale il licenziamento determinato dall’aggravamento dell’infermità che ha dato luogo al collocamento obbligatorio, è legittimo solo nel caso in cui ci sia l’accertamento dell’apposita commissione medica competente prevista dalla legge n. 104 del 1992, che deve altresì verificare l’impossibilità di reinserire, anche previo adattamento dell’organizzazione del lavoro, il disabile all’interno dell’azienda, anche nel caso di aggravamento delle condizioni fisiche causate da infermità diversa da quella che ha determinato l’assunzione.

Soltanto grazie a questa speciale protezione accordata al disabile dalla disciplina interna e sovranazionale, vengono limitati i margini di apprezzamento discrezionale del datore di lavoro, affidando ad un soggetto qualificato con caratteri di terzietà, la commissione, un peculiare giudizio tecnico.

La legge del ’99, all’articolo 10 comma 3, regola quindi le modalità di risoluzione del rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro e ha carattere di specialità rispetto alla normativa generale in «materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro» prevista dal Decreto Legislativo n. 81 del 2008, per tutti i lavoratori.

Dette leggi devono ritenersi tra loro compatibili in quanto riguardano diversi ambiti soggettivi ed oggettivi e come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza del 1997 n. 354, nella parte in cui queste discipline sembrano sovrapporsi, le stesse possono coesistere, in quanto dopo l’eventuale valutazione di inidoneità da parte del medico competente per la sorveglianza, sanitaria, si demanda l’accertamento sanitario al collegio medico sulle assunzioni obbligatorie, proprio in considerazione del carattere speciale della normativa.

Per questi motivi la Suprema Corte ha accolto i primi due motivi di ricorso, con assorbimento del terzo e del quarto successivi in ordine logico e ha cassato la sentenza impugnata rinviandola al giudice indicato nel dispositivo che deve attenersi a questo principio di diritto: «Il datore di lavoro può risolvere il rapporto di lavoro dei disabili obbligatoriamente assunti, nel caso di aggravamento delle condizioni di salute o di significative variazioni dell’organizzazione del lavoro, solo nel caso in cui la speciale commissione integrata di cui alla L. 12 marzo 1999 n. 68, articolo 10 comma 3, accerti la definitiva impossibilità di reinserire il disabile all’interno dell’azienda, anche attuando i possibili adattamenti dell’organizzazione del lavoro, non essendo all’uopo sufficiente il giudizio di non idoneità alla mansione specifica espresso dal medico competente nell’esercizio della sorveglianza sanitaria effettuata ai sensi del Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81».

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[1] Art. 2697 c.c “Onere della prova”: Chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda

[2] Art. 38 Costituzione: Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.

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