La tutela risarcitoria del concepito per perdita parentale causata da fatto illecito

risarcimento danno fetoIn passato il feto veniva ricompreso nella categoria delle cose, considerato meramente come “parte” del corpo materno e conseguentemente privo di soggettività e di capacità giuridica.

Non essendo riconosciuto come soggetto di diritto si tendeva così ad escludere che i danni dallo stesso subiti nella fase di gestazione potessero trovare una qualche tutela risarcitoria.

Infatti, il presupposto fondamentale della configurabilità del diritto risarcitorio era la realizzazione del danno ad un soggetto in vita e la valutazione dell’esistenza del soggetto passivo veniva rapportata proprio al momento del verificarsi dell’evento lesivo.

Tale tesi è stata poi superata in virtù delle esigenze sociali che chiedevano di tutelare adeguatamente la vita sin dal suo inizio.

Si può affermare ora come l’ordinamento giuridico miri a tutelare il danneggiato a prescindere dal momento del compimento del fatto, qualora l’evento lesivo abbia determinato illeciti permanenti (Cass. Civ. n. 1361 / 2014).

Tale orientamento, confermato dalla giurisprudenza successiva della Suprema Corte, afferma infatti che “non è necessaria la soggettività giuridica del concepito per affermare il diritto al risarcimento, dal momento che questi diritti sono azionabili all’avverarsi della condicio iuris della nascita” (Cass. Civ. n. 9700 / 2011), sorgono e come tali devono essere riconosciuti quando viene accertato il rapporto di causalità tra il comportamento (anche colposo) e il danno derivato al soggetto che con la nascita acquista la personalità giuridica.

Appurato come il figlio nato dopo la morte di un genitore, causata da fatto illecito di terzo avvenuto durante il periodo della gestazione, abbia diritto ad essere risarcito dal responsabile per la perdita del rapporto parentale, occorre ora chiarire la tipologia dei danni invocabili dal danneggiato, dai prossimi congiunti e dagli eredi in caso di morte.

Con la sentenza n. 20972 del 2008, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite è intervenuta rivoluzionando la struttura del danno non patrimoniale e quindi nell’art. 2059 cod. civ., rubricato “Danni non patrimoniali”, rientrano:

  • Danno morale: comprende le ipotesi di danno non patrimoniale conseguenti a reato (art. 185 cod. pen.), ossia le sofferenze cagionate dal reato in sé considerate e altre ipotesi previste dalle leggi ordinarie in cui viene provato il turbamento dell’animo senza la degenerazione patologica e senza attribuire rilevanza alla durata nel tempo ai fini dell’esistenza del danno;
  • Danno biologico: inteso come lesione all’integrità psicofisica della persona e suscettibile di accertamento medico-legale; esso incide negativamente sulle attività quotidiane di vita del danneggiato indipendentemente da ripercussioni sulla capacità di reddito. In tale categoria è altresì compreso il danno da perdita parentale qualora comporti sofferenze fisico-psichiche degeneranti in patologie. In quest’ultimo caso il giudice non potrà riconoscere congiuntamente il danno biologico e quello morale in quanto riconoscerebbe una duplicazione di risarcimento non consentita dal nostro ordinamento giuridico, pertanto dovrà procedere ad una personalizzazione della liquidazione del danno biologico, valutando le sofferenze fisiche e psichiche subite dal soggetto leso (Cass. Civ. Sez. Un. N. 26972 / 2011; Sez. Un. N. 557 / 2009).
  • Danno esistenziale: parte della giurisprudenza non lo considera più voce di danno a sé stante in quanto ritiene non meritevoli di tutela risarcitoria quei pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, ansie e ogni altro tipo di insoddisfazione concernente la quotidianità.

Tuttavia recenti pronunce hanno affermato che il danno biologico, quello morale e quello dinamico-relazionale (c.d. esistenziale) costituiscono pregiudizi non patrimoniali ontologicamente diversi e tutti risarcibili (Cass. Civ. n. 9770 / 2013; Cass. Civ. n. 10269 / 2015).

Una questione peculiare riguarda stabilire se gli eredi hanno altresì diritto al risarcimento del danno biologico maturato dal de cuius prima di morire.

In passato si riteneva che gli eredi potessero agire iure proprio per far valere il danno biologico sofferto in conseguenza della perdita del congiunto.

Sul punto un’importantissima sentenza della Corte Costituzionale, n. 372 / 1994, ha esaminato l’ipotesi in cui tra evento lesivo e morte del soggetto intercorra un significativo lasso di tempo, riconoscendo in capo al deceduto una pretesa risarcitoria (danno biologico) per i danni prodottisi dal momento della lesione a quello della morte.

Nel 2009 la Corte di Cassazione, aderendo alla sentenza storica della Corte Costituzionale, ha consentito agli eredi del danneggiato di agire iure haereditatis per ottenere il risarcimento del danno che la vittima avrebbe potuto far valere se fosse sopravvissuta alle lesioni, sottolineando che, ai fini della maturazione di tale diritto debba intercorrere un apprezzabile lasso di tempo dal fatto lesivo all’evento morte (nulla è dovuto nel caso di morte immediata) (Cass. Civ. n. 21497 / 2009).

Altra importante decisione, che ha aperto la strada a nuovi orizzonti e questioni in tale ambito, concerne il danno da perdita immediata della vita; la Suprema Corte ha affermato che “costituisce danno non patrimoniale il c.d. danno tanatologico da perdita immediata della vita” (Cass. Civ. 1361 / 2014).

Tale pronuncia ha fatto sorgere dubbi in merito alla trasmissibilità iure haereditatis di tale ristoro del danno.

Sono così intervenute le Sezioni Unite per dirimere il contrasto, confermando l’orientamento contrario alla risarcibilità del danno da perdita della vita in quanto “in caso di morte immediata, ovvero che segua entro un brevissimo lasso temporale alle lesioni inferte alla vittima dell’illecito, non è possibile invocare un diritto al risarcimento del danno iure haereditatis in ragione – nel primo caso – dell’assenza del soggetto al quale sia collegabile la perdita del bene e nel cui patrimonio possa essere acquisito il relativo credito risarcitorio, ovvero – nel secondo caso – della mancanza di uno spazio di vita brevissimo” (Cass. Civ. n. 22451 / 2017).

Quanto alla liquidazione del danno patrimoniale, il giudice dovrà procedere ad una personalizzazione del danno considerando l’incidenza dell’improvvisa e definitiva perdita dell’apporto dell’altro genitore nella cura e nella formazione morale e sociale dei figli.

Concludendo, si può affermare come il figlio, anche se ancora nel grembo materno, al quale sia impedito di sviluppare un rapporto parentale con un genitore a causa di illecito di un terzo, subisca un danno ingiusto e come tale, nei limiti suesposti, dovrà essere integralmente risarcito.

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